L’incredibile ascesa di Eddie Kingston: dalla strada a Triple Crown Champion

Alla luce della vittoria di Eddie Kingston a Worlds End, in cui l’atleta di Yonkers ha aggiunto il titolo di primo AEW Continental Champion a quello di Ring of Honor World Champion e NJPW Strong Openweight Champion, vi riproponiamo questo articolo scritto dallo stesso Kingston, in cui racconta con brutale sincerità il suo percorso e i demoni che ha dovuto affrontare.

È un articolo piuttosto datato (risale infatti al 9 novembre 2021) quindi molti di voi lo hanno probabilmente già letto in lingua originale, ma a chi fosse sfuggito, ecco qui sotto la traduzione (con un enorme grazie a Mariano che ha fatto da editore):

Eddie Kingston non ha alcun diritto di stare qui.

Per gran parte della mia vita ho pensato di essere pazzo.

Squilibrato. Fuori di testa. Psicotico. Violento. Malato.

“Oh, andiamo, Eddie. Stai dicendo una stronzata. Lo sappiamo tutti che è un work. Fa parte del personaggio.”

Ragazzi miei, davvero non capite. È tutta la vita che sono fuori di testa. Quando ero in seconda superiore, ho litigato con questo ragazzo per alcune stupide stronzate di quartiere. Onestamente, non mi ricordo nemmeno il motivo. Il giorno dopo, ero seduto in classe e vedo il tipo che cammina nel corridoio. Sono pieno di testosterone, piscio e vento, quindi scatto dalla sedia gridandogli: “Fatti avanti.”

Ora, questa è Yonkers, non ci si vede dopo nel parcheggio. No, fratello. I conti si regolano qui, ora. Il tipo lascia cadere i libri e si precipita verso di me. Proprio nel bel mezzo della classe: fogli che volano ovunque, insegnanti che urlano, studenti che saltano sui banchi. Pandemonio. Ed era proprio durante l’ora di religione. Giuro su Dio, ho perso la testa. L’ho colpito con libri, cartelle, tutto. Stavano cercando di insegnarci il Nuovo Testamento, e io sto cercando di lanciare questo figlio di puttana contro la lavagna con un german supplex. Ero fuori controllo.

L’unica cosa che mi ha salvato dalla galera è stato il fatto che ero solo un ragazzino. Ero solo un ragazzino molto, molto, molto arrabbiato. Volevo fare a pugni con il mondo. Non mi sono mai sentito a mio agio da nessuna parte. Sono per metà irlandese e per metà portoricano, quindi c’era sempre qualcuno che aveva qualcosa da dire. Quando ero nella parte irlandese del quartiere, mi sentivo apostrofare con: “Ehi, come va, mangiafagioli?”. E quando ero nella parte portoricana, era qualche altra sciocchezza simile. Seriamente, in seconda elementare ricordo di aver sentito: “Ehi, portate via questo mangiafagioli.”

Sono cose che ti lasciano il segno. O ti rendono un mollaccione o ti rendono uno squilibrato. Beh, indovinate cosa hanno fatto di me? Dal momento in cui i miei zii mi hanno insegnato a tirare un pugno quando avevo undici anni, ero in strada a cercare di fare a botte. L’unica cosa che poteva tenermi calmo erano le videocassette di wrestling. Stiamo parlando delle vecchie cassette VHS. Mia madre andava da VideoVision nel Bronx – non da Blockbuster, stiamo parlando di VideoVision, il negozio a conduzione familiare con il gatto dietro il bancone e la sezione per ADULTI – e non sapeva cosa portarmi, quindi afferrava qualunque cosa con la scritta ‘wrestling’. Il venerdì, se riuscivo a passare tutta la settimana senza cercare di strangolare qualcuno a scuola, la mia ricompensa era cibo cinese e una videocassetta di wrestling.

Ricordo che una sera, per puro caso, mia madre portò a casa questa cassetta, e dovete ricordare che negli anni ’90 non sapevi COSA ti saresti ritrovato. Quando noleggiavi qualcosa, ti davano questa misteriosa scatola di plastica dura senza copertina. Così ho requisito la TV del soggiorno (con mio padre che urla: “Voglio guardare il telegiornale ma il bambino sta di nuovo guardando il wrestling!!!” E mia madre che dalla cucina gli risponde: “Lascialo stare!!!” È stato bravo questa settimana!!!!”). Ho messo il nastro nel videoregistratore e queste parole sono apparse sullo schermo:

LE RISSE PIÙ SANGUINOSE DI MEMPHIS

Dal momento in cui ho visto quella registrazione, ne sono stato ossessionato. Era come se fosse qualcosa proveniente da un altro pianeta. Un’altra dimensione pazzesca. C’era di tutto, in quella videocassetta. C’era la famigerata rissa al chiosco delle bibite di Tupelo, Mississippi, del ’79. Cercatela su YouTube se non sapete di cosa sto parlando. È un normale incontro di tag team che inizia sul ring. Ma poi i ragazzi si fanno strada tra la folla fino all’area degli stand, e iniziano a colpirsi a vicenda con macchinette per popcorn, pentole, padelle e hot dog. E per tutto il tempo la signora che lavora al chiosco urla: “Fermatevi! Basta! Fermatevi! Sicurezza!!!!!!!”

Mi ha fatto impazzire. Immaginatelo. Sono questo piccolo squilibrato metà irlandese e metà portoricano seduto a mangiare zuppa di wonton sul suo divano nel Bronx, mentre guardo il wrestling della vecchia scuola di Memphis, e guardo mia madre come a dire, Lo stai vedendo anche tu? Riesci a crederci???

C’era di tutto in quella videocassetta. Eddie Gilbert che investe Jerry Lawler con la macchina nel parcheggio fuori dall’arena. Wrestler che si aprono la testa a vicenda e sanguinano nel bel mezzo del ring. Capivo a malapena cosa fosse il wrestling, ma in quel momento sapevo cosa volevo diventare da grande.

Non volevo battere una home run allo Yankee Stadium.

Non volevo fare un touchdown al Super Bowl.

Non volevo essere un fottuto astronauta.

Volevo essere un wrestler professionista.

Con il passare degli anni, quando ero alle medie, ho scoperto l’All Japan Pro Wrestling, i forum su Internet e la sottocultura dello scambio di videocassette a New York City. Aspettavi MESI per mettere le mani su una cassetta di All Japan Triple Crown tramite un amico che aveva un amico che conosceva un tizio nel Queens, o roba simile. Dovevi avere qualcosa di buono da scambiare però. Era un po’ come scambiare le carte Pokémon, solo che lo scambio lo dovevi fare ad un angolo di strada con un tizio conoscuto su internet. Ti presentavi da qualche parte e scambiavi le cassette con uno sconosciuto, e ascoltate… poteva esserci di tutto in quelle cassette. Non sapevi in cosa ti stavi cacciando. Speravi solo che il tizio fosse onesto e non ti avesse rifilato un bidone. Speravi solo che quando saresti tornato a casa ed avresti inserito la cassetta nel videoregistratore, sullo schermo sarebbero apparse quelle famigerate scritte in giapponese circondate dalle fiamme, e un tizio in giacca e cravatta che urla cose incomprensibili dal tavolo dell’annunciatore. Pregavi che fosse una cassetta di All Japan e non un vecchio episodio di 8 Sotto un Tetto.

Non dimenticherò mai la prima volta che ho messo le mani su Kawada vs. Misawa, giugno ’94. La data è l’unica cosa che serve ai veri fan per capire di cosa sto parlando. Giugno ’94. Questi tizi si scambiavano chop talmente violente che potevi vedere il sudore che schizzava via anche tramite la registrazione di bassa qualità del VHS. L’eco era così forte che non potevo crederci. Quei back suplex, mio Dio. Era tutto così violento, così reale. Sto guardando questo match nel nostro piccolo appartamento a Yonkers e non riesco nemmeno a stare seduto. Persino oggi, quando lo guardo, non riesco a stare seduto e fermo. Probabilmente ho visto qull’incontro più di mille volte- giuro su Dio. Quando sono in areoporto ad aspettare il mio volo, apro YouTube e me lo guardo di nuovo. Me lo vivo. Mi ci perdo.

Non avete idea di quante volte ho rischiato di perdere il volo. Un impiegato della Delta Airlines mi batte sulla spalla e dice: “Signore!” E io nemmeno sono lì, fratello. Sono a Tokyo e sento ogni clothesline.

Guardare il wrestling è sempre stata la mia via di fuga. Era il mio piccolo santuario. Probabilmente è stata l’unica cosa che mi ha tenuto fuori di prigione. Al liceo, i miei amici mi chiamavano di notte per uscire e combinare chissà che cosa, ma io restavo a casa da solo a guardare Raw o Super J-Cup o ECW. A tutti i miei veri newyorkesi: vi ricordate quando la ECW veniva trasmessa alle due del mattino sul CANALE RELIGIOSO, per qualche motivo? Cercavi di non addormentarti mentre una signora dallo schermo parlava pacatamente di salvezza e di perdono o cose simili, ed improvvisamente…

EEEEEEE SEEEEEEE DUBBLE-YEEEEWWWWWWWW!!!

Gente che viene colpita con una mazza da baseball coperta di filo spinato. Gente che si schianta su un tavolo con un Dudley Death Drop. Gente che fa un moonsault tra la folla.

Sul canale religioso.

Sto dicendo che era come un messaggio da un’altra dimensione. Il diavolo stava prendendo il controllo, fratelli miei. Ricordo che quando ho scoperto ECW per la prima volta, mi sentivo come se stessi guardando persone che conoscevo. Voglio dire, guardavo la WWF come tutti, ma mi era sempre sembrata troppo all’acqua di rose. In ECW, invece, non c’erano personaggi, c’erano persone vere come quelle che conoscevo dalla strada.

Conoscevo gente come New Jack. Conoscevo gente come Dreamer.

Quando qualcuno si schiantava su di un tavolo, era come se contro quel tavolo ci fosse finito tuo zio.

Ad essere sincero, l’unica cosa che mi impediva di entrare in depressione era il wrestling. O facevo a botte con qualcuno nel quartiere, o rimanevo a casa a guardare un match. Altrimenti cadevo in depressione. All’epoca, non conoscevo nemmeno le parole adatte per parlarne. Volevo fare il duro e non volevo sentir parlare di salute mentale, terapisti, sentimenti.

“Depressione? Che cazzo è la depressione?”

Quando non riuscivo a controllarlo, finivo per dare alle mani nel bel mezzo di una lezione. La Rissa nella Classe di Religione mi ha fatto espellere dal liceo, a dire la verità. A diciotto anni la mia vita non andava da nessuna parte. Grazie a Dio, mio padre e tutti i miei zii lavoravano nella costruzione dei grattacieli, e mi hanno fatto assumere nel sindacato locale. Questa è la gente che ha scavato nelle macerie del World Trade Center dopo l’11 settembre. I veri uomini duri di New York, colletti blu. Non come nei film. Duri veri. Uomini che ogni giorno portavano con sé a pranzo una fiaschetta e due pacchetti di sigarette.

C’è stato un giorno che non dimenticherò mai. Ero in cantiere a 50 piani di altezza, tra Colombo e la 59esima strada. Sono seduto su una trave d’acciaio, posso vedere tutta Manhattan. Mi giro e vedo questo tizio, avrà forse 70 anni, e sta mangiando il suo panino e fumando la sua sigaretta, e sta dicendo che deve tenere duro solo ancora qualche anno così da poter mettere da parte un po’ più di soldi ed iscrivere suo figlio al sindacato, ed è stato come se tutto si fosse fermato. Tutto ha taciuto. E ho avuto questa realizzazione.

Questo non è quello che voglio fare per il resto della mia vita. So cosa diavolo voglio fare. L’ho sempre saputo.

Quella sera, quando sono tornato a casa, mi sono messo al compiuter, pregando che la mia connessione internet funzionasse, e ho digitato su Google “Scuole Pro Wrestling a NYC”.

Quello fu l’inizio di un viaggio che mi cambiò la vita. Tre anni dopo, ero una star. Guadagnavo milioni. Ero nel main event a WrestleMania.

Ahahahahah. *Pernacchia*

State scherzando? Tre anni dopo ero completamente al verde, sovrappeso, depresso e lottavo davanti a otto persone in una sala da bingo. Ricordo che facevamo spesso degli show a Palo Alto, in Pennsylvania. Io e un mio amico andavamo lì, lottavamo, speravamo di essere pagati, e poi tornavamo indietro. Spendevamo l’intera paga in benzina ed un pasto dopo il match. Una sera, arriviamo là per uno show. Siamo nel backstage a prepararci, e notiamo subito che il pubblico è insolitamente silenzioso. Mi allaccio gli stivali, attraverso il sipario, guardo la folla e….

Otto persone.

Tre ad un lato del ring. Quattro dall’altro. Un tipo strano seduto da solo.

Il mio primo pensiero è stato: Ok, stasera non verremo pagati. Facciamo quello che si può.

Il problema del lottare di fronte a otto persone in una sala da bingo è che gli spot fanno comunque male. Le chop fanno comunque male. Il corpo ti fa comunque male il giorno dopo. Ma quando ami il wrestling, non importa. Lo fai per orgoglio e per il rispetto della disciplina. Quindi ho dato tutto quello che potevo, e non dimenticherò mai che c’era questa donna tra il pubblico che stava impazzendo. Era in piedi, ci urlava contro, urlava insulti. E questo mi ha messo il fuoco adosso, e mi sono rivolto a lei e l’ho chiamata con ogni nome possibile. Non bannatemi, per favore, ma penso di averla chiamata Ciccia Marge. Lei ha risposto lanciando popcorn. È stato incredibile.

Il match finisce, torniamo nel backstage e ovviamente il promoter non può pagare. Ricordo che gli altri ragazzi stavano discutendo su dove andare a mangiare, ed io ero così al verde che ho dovuto mentire e dire che non avevo fame.

“Ah no, grazie, io sono a posto. Sono pieno. Vengo solo a sedermi con voi e mi prendo un bicchiere d’acqua o qualcosa del genere.”

E il mio amico e partner di tag team era una così brava persona che pagava sempre per me senza dirlo a nessuno. Dopo lo spettacolo, eravamo tutti nel parcheggio a caricare il furgone, e io mi sentivo davvero giù di morale, quando all’improvviso sento questa voce gridare: “Ehi!!!! Ehi ragazzi!!!!”

È Ciccia Marge.

Lei dice: “Ragazzi, è stato fantastico. Mi sono divertita tantissimo. Voi ragazzi siete davvero forti. Grazie!!!!”

Ho passato vent’anni a viaggiare per le indie, senza mai avere successo, a diventare sempre più rancoroso, autodistruttivo, depresso, a chiedere soldi ai miei genitori per poter pagare l’affitto. E ad essere sincero, a volte non ho idea del perché ho continuato ad andare avanti.

Ma penso che probabilmente abbia qualcosa a che fare con quella signora.

A volte basta una sola persona. Sai di aver reso speciale la loro serata, e questo ti fa andare avanti. Così ho continuato, per altri 16 anni, a fare wrestling in tutto il paese, a fare spettacoli nelle piste da pattinaggio, nelle sale da bingo, nelle palestre e nei parcheggi, e non sono mai riuscito a sfondare. Una volta consideravo il mio lavoro da muratore il mio hobby e il wrestling il mio vero lavoro. I ragazzi del sindacato lo trovavano esilarante. Quando ho iniziato a invecchiare e il mio corpo ha iniziato a cedere, ho cominciato a prendere antidolorifici. Ho iniziato a bere di più. Mi sentivo così giù di morale, così arrabbiato e depresso che alla fine ho rinunciato alle pillole solo perchè mi sono detto: “Ehi, ma perchè sto spendendo tutti questi soldi in pillole? Merda, preferisco spenderli tutti in alcol!”

Non è patetico?

Quindi, bevevo. Cristo, se bevevo. Sono diventato un buttafuori solo per poter bere di più. Nei fine settimana iniziavo a bere all’una del pomeriggio di sabato, poi al lavoro al bar fino alle 7, poi a lottare da qualche parte, poi tornavo al bar e bevevo fino alle sette del mattino. Poi mi svegliavo il giorno dopo e c’era il footbal, quindi bevevo da mezzogiorno fino alle due del mattino.

Ero malato. Odiavo me stesso. Rimanevo seduto in casa a bere whisky, a guardare i ragazzi che avevo incontrato nelle indie che debuttavano l’uno dopo l’altro nei programmi televisivi delle grandi aziende di wrestling, e io ero lì a macerarmi nella mia rabbia finché non esplodevo. Prendevo a pugni i muri. Spaccavo bottiglie. Ero un pericolo per me stesso e per gli altri. Un giorno, ho preso una sbornia così colossale che sono semplicemente scomparso. Avrei dovuto fare degli spettacoli e non mi sono presentato. Ho fatto a pezzi il mio cellulare, cosicchè nessuno potesse raggiungermi. I miei amici avevano paura che fossi morto. Un pomeriggio mi sono svegliato e nel mio appartamento c’erano bottiglie di birra rotte ovunque. Per qualche motivo, ho controllato la mia casetta delle lettere, forse sperando in un assegno miracoloso, e ho trovato una lettera. Ho pensato “Una lettera? L’ultima persona che mi ha scritto una lettera è stata mia nonna”.

Apro questa lettera, ed era del mio amico Alex Whybrow, alias Larry Sweeney. Wrestler indipendente di lunga data, ragazzo fantastico. Mi ha scritto una lettera come ultima risorsa. Ha detto che tutti erano davvero preoccupati per me e mi ha implorato di contattarlo. E non dimenticherò mai questa riga alla fine, che diceva…

“Mi sento come se avessi perso il mio migliore amico. Per favore, chiamami.”

Per qualche ragione, questo mi ha dato la scossa. Ho chiamato Alex e sono strisciato fuori dal buco che mi ero scavato. Ho sempre avuto la sensazione che nessuno si fosse mai preoccupato per me. Mi sentivo un fallito, un perdente, un cattivo amico. È qualcosa che mi accompagna da quando ero bambino. Se Alex non mi avesse mandato quella lettera, non credo che sarei qui oggi. Probabilmente mi sarei ubriacato fino ad ammazzarmi. Lui mi ha salvato la vita.

E la cosa più triste è che le parole che mi ha detto dovevano provenire da un luogo molto buio dentro di lui… perché ha finito per togliersi la vita solo pochi anni dopo. Penso che lui conoscesse il dolore che stavo provando, l’oscurità che mi circondava.

Ed è per questo che ora sto raccontando questa storia, senza mezzi termini, e tutti i wrestler della vecchia scuola che non vogliono sentire queste cose, che pensano che non dovremmo parlarne, con tutto il rispetto, ma possono baciarmi il culo. Se non stessi prendendo gli antidepressivi, se non avessi ricevuto aiuto per la mia salute mentale, se avessi troppa paura per parlarne, finirei col togliermi la vita. Punto. Ho perso troppi amici in questo business per chiudere la bocca e seppellire tutte queste emozioni con pillole e alcol.

In memoria di Alex, racconto questa storia. Lui mi ha salvato. Ma non ha potuto salvare se stesso. Molte volte, ho pensato che non volevo più vivere. Avevo così tanto senso di colpa, rabbia e vergogna addosso. Dopo la morte di Alex, piano piano ho iniziato a chiedere aiuto e a darmi una ripulita, ma un giorno ho alzato la testa e tutto d’un tratto avevo 37 anni, e ho capito che per me il successo non sarebbe mai arrivato. I pezzi grossi non mi avrebbero mai dato una chance. Avevo bruciato troppi ponti. Avevo detto a troppi promoter di andare al diavolo. La mia reputazione mi precedeva.

Era la fine. Un giorno mio fratello venne a casa mia e gli dissi che stavo pensando di trasferirmi in Alaska e iniziare una nuova vita. Non ero sposato. Non avevo figli. Avevo dedicato tutta la mia vita al wrestling, avevo fallito ed era ora di finirla lì.

Lui mi ha semplicemente guardato, come solo un fratello può guardarti, poi ha bevuto un sorso di whisky e ha fatto una pausa. E ha detto: “Va bene. Ehi, fa quello che vuoi. È la tua vita. Ma io cosa dico a mio figlio?”

Mio nipote era appena nato.

Gli ho risposto: “Di cosa diavolo stai parlando?”

E lui: “Come farò a dire a mio figlio di non mollare mai, quando suo zio ha rinunciato al suo sogno?”

E io l’ho guardato. Del tipo: “Figlio di puttana. Come osi aiutarmi? Come osi.”

Ho avuto questa visione di mio nipote in prima elementare, che diceva ai suoi compagni di scuola: “Mio zio è un wrestler!”

E loro: “Cosa??? Noooooo!!! Tuo zio non è un wrestler!!!”

Ho deciso in quel momento che non potevo smettere. Dovevo andare avanti ancora per qualche anno, fino a che mio nipote fosse abbastanza grande da aprire YouTube sul telefono e mostrare ai suoi compagni di scuola una clip del suo vecchio zio Eddie che faceva un suplex ad un tizio a centro ring. Sapevo che non sarebbe stato in WWE o in AEW o simile. Ma non mi importava. Anche se fosse stato in una sala da bingo o in un parcheggio – purché suo zio fosse davvero un wrestler, andava bene.

Quindi ho continuato. Poi, un anno dopo, è arrivata la pandemia. Stavo facendo degli spettacoli nel Regno Unito quando hanno chiuso tutto, e ho dovuto spendere i miei ultimi duemila dollari solo per poter tornare a casa prima che chiudessero le frontiere. Tutte le indie sono rimaste chiuse per mesi e ho capito subito cosa significava per me. Potevo vedere la fine. Ho dovuto vendere parte della mia attrezzatura da wrestling per poter pagare il mutuo. Mi restava un mese per iniziare a fare qualche soldo, altrimenti avrei perso la casa. Ho chiamato mia madre e le ho spiegato la situazione. È stato umiliante. Se non avessi trovato una via d’uscita, sarei dovuto tornare a vivere con lei e mio padre a Yonkers.

Poi ho ricevuto questa telefonata per fare un match all’aperto in New Jersey. In qualche modo, erano riusciti ad ottenere il permesso di allestire un ring nel bel mezzo di un parcheggio, con la gente che guardava dalle loro auto. Non potevo dire di no. Sono andato nel Jersey per fare lo show pensando che potesse essere l’ultimo match che avrei mai disputato. Stavo per perdere la casa. Ero disperato.

Quindi, dopo il match, per qualche motivo, ho semplicemente preso il microfono e ho iniziato a fare quello che so fare meglio. Ho iniziato a parlare. Ho sfidato tutti i campioni delle grandi compagnie. Non pensavo che portasse veramente a qualcosa. Ero semplicemente me stesso. Stavo facendo quello che amo fare. Ma qualcuno ha fatto un video del mio promo e l’ha postato sui social, e in qualche modo è arrivato fino a Cody Rhodes e alla AEW. Immagino che abbiano pensato che fosse uno scherzo, o che io fossi un matto, o non so cosa, ma d’un tratto ho ricevuto una telefonata dall’ufficio del personale della AEW e mi hanno detto: “Ehi, abbiamo visto il tuo video. Vogliamo che tu venga a combattere contro Cody.”

E a quel punto ero così depresso e giù di morale che la prima cosa che mi è uscita dalla bocca è stata: “Quanto paga?”

Non pensavo fosse un provino. Non pensavo fosse un miracolo. Non pensavo a niente, tranne devo pagare il mutuo. Per me era solo un ingaggio. Una busta paga. Avevo 38 anni. Non c’era la più remota possibilità che mi avrebbero assunto. È solo uno stupido siparietto. Lo giuro, allo show, nel backstage, ero semplicemente vuoto. Nessuna emozione.

Non c’è stato nessun momento alla 8 Mile, con me davanti allo specchio. L’unica cosa che pensavo era: facciamola finita, così posso ritirare il mio assegno. Ricordo che Cody è stato eccezionale- mi ha chiesto cosa volevo per la mia musica d’entrata e gli ho detto la verità. Ho detto: “Perché dovrei avere una musica d’entrata? Non lavoro qui. Non doverei avere alcuna musica. Dovrei semplicemente correre fuori e iniziare a picchiarti a sangue, come se fossi un tizio qualunque. Perché sono solo un tizio qualunque.”

E lui ha detto: “Va bene, ma allora ti diamo un microfono.”

E io: “Un microfono?”

E lui ha risposto: “Sì, vieni fuori con il microfono e inizi ad insultarmi.”

Voglio dire, questo è Cody Rhodes. È una star. E mi sta dicendo di uscire sulla rampa e praticamente gettargli merda addosso. Se ci penso adesso mi viene ancora la pelle d’oca. Non me lo meritavo, ma mi ha permesso di avere quel momento, e quel momento mi ha cambiato la vita.

Un’altra persona che quel giorno ha cambiato la mia vita… e dannazione, mi commuovo solo a pensarci, perché non è più con noi…

Ma un’altra persona che mi ha cambiato la vita è stato Brodie Lee. (Riposa in pace.) Conoscevo Brodie da anni. Abbiamo lavorato per molto tempo insieme nelle indie. Una persona meravigliosa. Un vero professionista. Era nel backstage proprio prima che io attraversassi il sipario, e poteva vedere che ero emotivamente vuoto. Si è avvicinato a me tutto serio e ha detto: “Ehi, dov’è l’Eddie Kingston che conosco?”

Mi ha dato una spinta, forte. Io ho barcollato. Ed è come se avesse svegliato la bestia.

L’ho guardato dritto negli occhi e gli ho restituito la spinta.

Lui ha fatto un paio di passi indietro, poi mi ha guardato e ha detto: “Eccolo lì.”

Siamo scoppiati tutti e due a ridere.

Quella notte, da dietro il sipario uscì un uomo distrutto. Trentotto anni. Pieno di rancore. Autodistruttivo. Che sta per tornare a vivere con sua madre.

Non posso spiegarvi cosa è successo dopo. Ancora non lo capisco. Sto ancora aspettando che qualcuno mi svegli dal sogno.

Ho combattuto con Cody come ho combattuto con 10.000 altri ragazzi in 10.000 altri match. Ho fatto il mio lavoro. L’ho colpito. Lui ha colpito me. Gli ho fatto una powerbomb nelle puntine da disegno. Ho provato a raccontare una storia. Ho provato a dare delle emozioni a qualcuno là fuori che ci stava guardando. Anche se era solo un’unica persona che stava passando una giornata di merda e stava usando il nostro match per fuggire dalla realtà.

Ho fatto il mio lavoro, mi sono preso il pin, e sono tornato nel backstage.

Ed è stato allora che ho visto Brodie Lee e Jon Moxley. Non stavano saltando dalla gioia. Non stavano applaudendo. Non mi stavano dicendo che ero il migliore. Non è da loro. Ma ho notato che stavano sorridendo.

Ho chiesto: “Come è andata?”

Mox mi ha risposto: “Sei stato bravo. Lo hai pestato per bene.”

Ed è stato allora che ho realizzato. Oh cavolo. Ehi, ero sulla televisione nazionale. Che forza. Se ho chiuso con il wrestling, almeno ho fatto questo.

Quando il match è andato in onda in TV, è iniziato a succedere qualcosa di strano al mio telefono. Twitter, i social, tutta quella roba: ancora non capisco bene come funzionino. Non è cosa mia. Quindi quando ho visto tutta quella roba apparire sul mio cellulare, ero confuso. Poi ho iniziato a ricevere tutti questi messaggi, e qualcuno della AEW mi ha scritto: “Eddie, sei ovunque su Twitter!”

E io ho detto: “Ovunque? Cioè? Vuol dire che vengo pagato di più?”

Lei mi ha risposto: “No, è una cosa ancora più grande. Stanno twittando #ASSUMETEEDDIEKINGSTON. È ovunque. Migliaia di persone. Stanno implorando la AEW di ingaggiarti.”

È ancora tutto così strano per me, anche adesso, perché faccio così fatica ad accettare affetto. Sono un duro di New York. Non mi fido. Sono sospettoso. Mi aspetto sempre che arrivi la fregatura. Quindi, quando tutti questi sconosciuti hanno cominciato a sostenermi, ero indifferente. Ero a disagio. Non capivo. Anche quando mi hanno chiamato dalla AEW e mi hanno detto che volevano offrirmi un contratto, non capivo. Era troppo surreale per uno come me.

Ho finalmente realizzato due settimane dopo: ero in vacanza in Montana con la mia ragazza, eravamo seduti in macchina, sul punto di andare a casa della sua amica, e mi sono fermato per un secondo e mi sono girato verso di lei e le ho detto , “Ehi, aspetta.”

Lei mi ha risposto: “Cosa c’è che non va?”

Ho detto: “Sai che ho firmato, vero? Sono sulla televisione nazionale. Mio nipote può guardare suo zio in TV. Cioè, ho davvero firmato. Voglio dire, dopo venti fottutissimi anni. Stavo per perdere la casa. Stavo per…”

E ho iniziato a piangere. Quest’onda mi ha travolto e finalmente ho capito cosa stesse succedendo e ho iniziato a singhiozzare proprio lì in macchina.

Sono stato tutto in questa vita. Sono stato un bambino arrabbiato. Sono stato un adolescente depresso. Sono stato un tossicodipendente. Ho visto così tante celle di detenzione da farvi girare la testa. Ho combinato casini, ho distrutto amicizie e bruciato ponti. Ho toccato la miseria più nera.

L’unica ragione per cui sono ancora nel wrestling, e in realtà l’unica ragione per cui sono ancora su questa terra, è grazie a tutti gli amici che non hanno mai smesso di sostenermi.

Sono così fortunato ad aver avuto un amico come Larry Sweeney.

Sono così fortunato ad aver avuto un amico come Brodie.

Sono così fortunato ad avere ancora un amico come Mox.

La sapete una cosa pazzesca? In passato, io e Mox abbiamo combattuto nell’arena locale di Brooklyn, davanti a 85 persone. È stato così surreale attraversare il sipario con lui a Jacksonville, durante il primo grande spettacolo dal vivo della AEW dopo la pandemia, di fronte a 5.000 spettatori urlanti, e abbiamo combattuto contro gli Young Bucks in diretta nazionale. Ricordo che appena prima di uscire dagli spogliatoi, Mox si è girato verso di me e mi ha detto: “Ehi, preparati a diventare una fottuta star. Adesso andiamo a prendere a calci in culo questi tizi.”

Ho ancora i miei demoni.

Ho ancora difficoltà ad accettare tutto questo affetto e questa attenzione.

Devo ancora prendere i miei antidepressivi.

Ho ancora attacchi di panico.

In effetti, ne ho avuto uno subito dopo aver combattuto contro Miro a All Out [2021]. Il mio telefono ha iniziato a esplodere con tutte queste persone che mi dicevano che avevo fatto un ottimo lavoro, che mi dimostravano il loro affetto, e non riuscivo proprio a gestire tutto questo. Mi sono sentito sopraffatto. Il mio petto era come stretto in una morsa. I muri hanno iniziato a stringersi intorno a me. Le mie emozioni hanno cominciato a farsi più attenuate. Mi sentivo come se stessi respirando attraverso una cannuccia. Ma sono riuscito a calmarmi e a rallentare il respiro, perché sono stato abbastanza forte da chiedere l’aiuto di un professionista, e ora so cosa fare. So come convivere con la mia ansia e la mia depressione. E non ho paura di parlarne. Non mi interessa cosa ha da dire la vecchia guardia in proposito. Non è più il 1987.

So che non sono guarito. Non sono perfetto. Ho ancora dei giorni bui. Ma quando mi sveglio la mattina, per quanto io mi senta male, c’è una cosa che so per certo, una cosa di cui sono dannatamente orgoglioso….

So che qualunque cosa accada, posso sempre guardare mio nipote negli occhi e dirgli che il suo vecchio, acciaccato e malandato zio Eddie non si è mai arreso.

E quando crescerà e arriverà in prima elementare e qualche ragazzino gli dirà: “Tuo zio non è un wrestler. Stai mentendo”, può tirare fuori il telefonino e mostrargli un video di suo zio Eddie che attraversa il sipario davanti a 20.000 fan urlanti all’Arthur Ashe Stadium nel Queens, proprio a due passi da dove un tempo scambiava videocassette di wrestling, si cacciava in risse e scappava dalla polizia.

Mio nipote può guardare quel piccolo teppista dritto negli occhi e dire: “Visto?”

Suo zio non è nei New York Yankees.

Non è un medico o un avvocato.

Non è un fottuto astronauta.

È un wrestler.

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